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martedì 5 agosto 2008

RADICI

Quando ero bambina mi dicevano che non dovevo ridere "sguaiatamente" perchè non stava bene ad una signorina mostrarsi troppo espansiva.
Quando ero bambina mi dicevano sempre di star seduta composta, dritta sulla schiena e gambe serrate, possibilmente braccia conserte.
Quando ero bambina dovevo giocare in silenzio, andare a Messa, cantare piano, saper leggere e scrivere prima che entrassi a scuola, perchè io "portavo il nome di una famiglia conosciuta e perbene"!
Quando ero piccola non dovevo correre troppo oppure avrei sudato, non dovevo giocare con chicchessia ma solo con i bambini che "la famiglia" sceglieva per me.
Quando ero bambina il mio mondo era di giochi regalati e che dopo pochi giorni scomparivano (non ho mai capito perchè), il mio mondo era fatto di voci di donne sempre insoddisfatte, imbruttite da una vita non voluta, voci stanche e rotte a causa d'infanzie non vissute eppure un vanto quella sottomissione "alla famiglia"!
Quando mia nonna ci lasciò; la grande mamma della famiglia... capì immediatamente che qualcosa era cambiato.
Era lei che nella sua esile figura vestita di nero, che si  muoveva quasi pattinando su pantofole di panno grigio come i suoi occhi, divenuti piccoli e acquosi sotto l'imperativo dei novant'anni, che teneva strette, fra le mani fragili percorse da vene azzurre in rilievo, quelle redini invisibili sulla casta.
Era marzo, di un decennio e poco più oramai passato che il canto di un usignolo fu così potente da oltrepassate i doppi vetri della mia camera a svegliarmi.
Il legame consanguineo fu immediatamente presentimento, e benchè fui ben certa di ciò che era accaduto, fui invasa da una pace incredibile. Mi chiamarono un'ora dopo per avvertirmi che la nonna si era addormentata nella Grazia del Signore.
Quando entrai nella sua stanza, indossava l'abito della cerimonia, un prezioso "costume sardo", le zie mi chiesero di aiutarle in quelle poche ultime finiture perchè fosse perfetta.
La mia nonnina era diventata piccola, i suoi lineamenti, sempre molto fini, sembravano darle un'aria di un tempo mai passato.
Ci aggiravamo tutte molto serene, solo qualche improvviso singhiozzo rompeva il silenzio o il leggero brusio dei nostri compiti.
Poi ci sedemmo intorno in preghiera e contemplazione, era un mattino meraviglioso.
Benchè fossi già sposata e con un bimbo di poco più di tre anni credo che fu in quella mattina che diventai veramente donna.
Quel giorno che mia nonna ci lasciò si portò via la mia infanzia e la mia giovinezza, insieme alla sua ombra sotto la pianta del fico, insieme a quella forza, serietà, umiltà e l'insegnamento di grandi valori che più non ho trovato.
Con lei se ne è andata anche la "famiglia" : quel senso di obbligo, di rispetto, di onorabilità, di unità, di stabilità... nulla sarà più come allora... in quella casa dove io sono cresciuta... quella casa che ora è fonte di discordia e malignità.
Ma per anni mi hanno insegnato di non mostrare di aver visto pur avendo ben osservato, di non mostrare le mie opinioni e riferire ciò che avrei sentito, che l'omertà è un fatto d'onore e oggi vedo (pur non guardando) quelle donne, quelle sorelle così attaccate alla famiglia da tirare con unghie e denti  per strappare e seppellire quell'onore, quell'unione in nome di un'eredità fatta a brandelli dall'ingordigia, dall'avarizia, dall'orgoglio, il pregiudizio,la malafede.
Quale onore?
A quarantaquattro anni mi domando ancora ,sotto quale esempio ho coltivato le mie radici.

Mic




2 commenti:

sguardoinfinito ha detto...

..hai coltivato le tue radici nell'aspra terra sarda...con il suo onore e con le sue regole...

Non le hai volute tu... e ne sei consapevole... per cui, anche con quell'esempio...sei diventata la donna libera di pensare e di essere quale sei...

E ricorderai sempre la figura di quella donna tanto forte e tanto fragile nello stesso tempo...alla quale nonostante tutto hai voluto un mondo di bene...

un abbraccio

Bet

anonimo ha detto...

Bet... grazie!

Mic*